Io sono nato a Maggianico, vi ho passato una parte della mia infanzia sino all’età di 9 anni.
Negli Anni Cinquanta, quelli della mia fanciullezza, il rione che abitavi ti forniva delle mete fisse con cui svagarti. Diventavano così dei luoghi dove giocare, fare compagnia, vedere amici e vivere il cadenzato tempo delle stagioni. C’era un oratorio con il cinema ed era molto frequentato. Al cinema, aperto la Domenica, ci potevi andare dopo il “Predichetto” in oratorio.
I dintorni di Maggianico erano però straordinari per gli abitanti e sopratutto per noi bambini, che avevamo a disposizione una sorta di Disneyland a cielo aperto. Gite nei dintorni delle cave della Radici, verso Carbonera. Salite al Magnodeno verso Camposecco, dove a circa metà della camminata ci si fermava nella frazioncina di Piazzo, che all’epoca era ancora abitata da 2 famigliole di contadini e pastori.
Qui scattava la merenda a pane e salame, quasi sempre, poi si continuava a salire. In primavera, alla sua apertura, una delle mete fisse era la Fonte di Barco, casualmente scoperta intorno all’anno 1850.
Si racconta di un contadino che stava lavorando sulle prime pendici del Magnodeno, dove crescevano ulivi e castagni in abbondanza e che, assetato, si chinò a bere presso una sorgente tra gli arbusti. Ma non trovò un gran ristoro, visto che la sorgente alla quale si abbeverava puzzava maledettamente di uova fracide.
Ma la scoperta di una fonte di acqua che puzza equivale ad acqua salubre. Et voilà! Maggianico ha la sua fonte salubre. Dopo le analisi accuratissime di medici e laboratori si raccomandava di berne per curare epatite, itterizia, gastroenterite, cistite ed erpes.
Tornando a noi ragazzini di Maggianico, frequentavamo la fonte sopratutto verso la primavera pronta a divenire estate, al termine delle scuole. Ci si andava accompagnati dai nonni o con zie e fratelli maggiori. Si entrava da un ponticello sul Cif, il torrente lol che vi scorreva a fianco, e poi si entravaf in un piccolo giardino che aveva qualche sedile in pietra e delle panchette di legno.
Da una minuscola grotta usciva un tubo in ferro da cui sgorgava la puzzolente acqua curativa. Essendo il sito della fonte collegato direttamente con il convento delle suore, nel quale però non si poteva accedere, gli ingressi alla fonte erano due e distinti. Sopra la piccola grotta dalla quale scendeva il piccolo rigagnolo della fonte era stata ricavata un’ansa nella quale le suore avevano posto una statua della Madonna.
Tutto intorno, sulle panche in pietra, le persone che passavano le acque si abbeveravano alla fonte utilizzando bicchieri e tazze che venivano lasciate sopra una mensola per l’utilizzo. Questa cosa oggi, visto il disastro della pandemia, lascerebbe quantomeno di stucco, ma in quegli anni non ci si faceva molto caso.
A noi bimbi, invece, essendo diventato di uso corrente l’utilizzo di manufatti in materiale plastico, venivano dati dai genitori dei bicchieri portatili fatti a scatoletta da chiusi, così da poterli tenere in tasca, apribili a mo’ di cannocchiale per l’utilizzo. Erano un bel mondo la Fonte, il Cif, il Magnodeno.
Chissà se dall’acqua che puzzava qualcuno ha trovato giovamento per tutte quelle patologie per le quali veniva definita curativa. Certamente un giovamento chi la frequentata l’ha trovato: la serenità di un mondo dalle cadenze quiete e da un futuro ancora da disegnare.
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