Copertine d’autore: quando l’arte si mise al servizio della musica
Scritto da Valentina Codurelli il 13 Febbraio 2023
Quelle volte in cui dietro ad alcune delle copertine più famose di gruppi musicali indimenticabili vi fu il contributo di grandi artisti
I dischi in vinile fanno la loro prima apparizione nel 1948 e sembrano essere il supporto ideale ed incontrastato. Ma la musicassetta negli anni ’70 e il CD a partire dagli anni ’80 li misero rapidamente fuori gioco in termini di praticità e comodità. Il vinile sembra così destinato ad essere riservato solamente ai musicofili, se non fosse per l’inatteso aiuto artistico di molte delle copertine, ideate per essere vere e proprie opere d’arte, spesso infatti realizzate da grandi artisti dell’epoca. Ecco alcune delle più iconiche:
SANTANA, ABRAXAS, 1970
Una copertina dal surrealismo quasi psichedelico. Uscito nel 1970, la copertina di questo album leggendario riproduce un dipinto di Mati Klarwein, artista surrealista tra i più noti dell’era psichedelica. Una versione erotica, blasfema e pagana della Annunciazione cristiana. Nell’opera provocatoria di Mati sono infatti numerosi gli elementi soggetti alle critiche dell’epoca; a partire dalla prosperosa Maria dalla pelle scura; l’Angelo che, secondo una visione cattolica, assumerebbe sembianze demoniache, ma che in realtà ha la sola “colpa” di essere donna; e la colomba, che nella rappresentazione cattolica simboleggia lo Spirito Santo, mentre nella cover di Santana è simbolo della magia voodoo. Tutti elementi che indussero, erroneamente, a considerare Abraxas come un’opera demoniaca, ed il suo culto una forma di adorazione satanica.
KING CRIMSON, IN THE COURT OF THE CRIMSON KING, 1969
Considerata una delle copertine più iconiche della storia del rock, la copertina di In the Court of the Crimson King è opera del giovane programmatore Barry Godber. La grafica per l’esterno della copertina (fronte e retro) rappresenta il volto di un uomo terrorizzato,con gli occhi sgranati per qualcosa che arriva dalla sua destra, forse, un futuro ignoto e quasi fantascientifico. L’uomo, con il volto sfigurato, lo zigomo e l’orecchio sproporzionati, è infatti l’uomo “schizoide” del ventunesimo secolo di cui parla il primo brano dell’album. All’interno, invece, l’uomo si fa apparentemente calmo e sorridente, mostrando le mani in posa ieratica, in un gesto solenne di sacralità e devozione. Secondo la versione più accreditata, il soggetto in questione è il Re Cremisi, Imperatore del Sacro Romano Impero che avrebbe dovuto unire l’oriente e l’occidente; l’unione qui invece cercata dalla band era invece quella tra passato e futuro.
BRUCE SPRINGSTEEN, BORN IN THE U.S.A., 1984
Dalla copertina emergono alcuni simboli che possono essere letti come tipicamente americani: Springsteen, di spalle, indossa dei blue jeans dai quali esce, da una tasca, un cappello da baseball; sullo sfondo, la bandiera americana. La foto scattata dalla fotografa Annie Leibovitz contribuì infatti a generare vari fraintendimenti, come del resto lo stesso testo del brano che dà il titolo all’album. Se infatti non si presta molta attenzione, Born in the U.S.A. sembrerebbe il canto di chi orgogliosamente rivendica le proprie origini. A cascare in questo fraintendimento fu lo stesso presidente Ronald Reagan, il quale, durante la sua campagna elettorale per le presidenziali del 1984, avrebbe voluto utilizzare proprio quel brano come colonna sonora per i suoi comizi, ritenendolo un “inno di speranza per il futuro del paese”. Springsteen si rifiutò, ritenendola una distorsione del messaggio originale e una mera “manipolazione” da parte del candidato presidente. Springsteen denunciava infatti il punto più basso toccato dal suo Paese: la guerra del Vietnam, dando voce all’America più povera, a quella dei reduci e di chi non ha mai visto realizzarsi il “sogno americano” tanto promesso. Born in the U.S.A. è infatti un canto di protesta verso quel “sogno americano” tanto decantato. Forse questo è uno dei pochi casi in cui l’artwork della copertina sembra aver “compromesso” (o contribuito a compromettere) il significato, ben diverso, dell’album.
ROLLING STONES, STICKY FINGERS, 1971
Una delle copertine più famose ed irriverenti di tutti i tempi. Mick Jagger, la più grande icona del rock del ‘900, volle che la copertina del nuovo disco della sua band fosse creata da quello che considerava il più grande artista del secolo: Andy Warhol. Per i Rolling Stones, Warhol fotografa un paio di jeans in primo piano, focalizzandosi sulla sporgenza della zona genitale su cui viene posta una vera zip, tirando giù la quale si mostra la biancheria intima del modello. La copertina, come del resto la gran parte delle opere di Andy Warhol, all’epoca fu un vero e proprio scandalo, tanto che, in Spagna e in URSS, venne censurata e sostituita. Non finirono però qui le problematiche della copertina realizzata da Warhol; infatti, la zip compromise non pochi dischi, in quanto furono soggetti a graffi, per non parlare poi dei tempi di realizzazione. Ma ciò non fermò in alcun modo la volontà di Warhol nel proporre al pubblico un’opera di così grande provocazione e irriverenza, che non fece altro che renderla una delle più celebri della storia della musica (e dell’arte).
Si pensò per diverso tempo che il soggetto dietro (o dentro) ai jeans fosse lo stesso Jagger, ma trapelò poi che si trattava di Joe Dallesandro, amante e modello di Warhol.
YES, FRAGILE, 1972
Fragile fu il primo album degli Yes ad avvalersi dell’opera di Roger Dean, artista britannico che realizzò parecchie cover per la band, e l’anno successivo anche il logo stesso. A distinguere le opere retro-futuristiche dell’artista vi è l’uso costante di elementi paradossali (come la celebre cascata di Close to the Edge, del 1972). Dean, per gli Yes, si prefissò di creare un’opera che rispecchiasse quella fragilità protagonista dell’album stesso, riuscendo a realizzare questa sua visione creando un’immagine, che appunto parte dall’idea di fragilità insita nel concept della band, ma proiettandola a livello globale seguendo i sentimenti dell’epoca di transizione che stavano vivendo; non troppo distanti da quelli che tutt’oggi accompagnano la nostra società. La cover, sul fronte, raffigura un piccolo pianeta, mentre sul retro il pianeta comincia a frantumarsi costringendo la gente a fuggire nello spazio su di una barca a vela di legno.
PINK FLOYD, THE DARK SIDE OF THE MOON, 1973
Una copertina disegnata da Hipgnosis (studio specializzato nella creazione di copertine per album musicali) e George Hardie. La copertina mostra sul davanti un prisma triangolare che rifrange e scompone un raggio il cui fascio di luce prosegue lungo l’interno della copertina dividendola orizzontalmente in due parti: in quella inferiore compaiono i testi delle canzoni, in quella superiore l’elenco delle tracce, mentre la linea verde oscilla come fosse un elettrocardiogramma. Una copertina che sollevò diverse critiche, a partire da quelle della stessa casa discografica che non ne apprezzò l’originalità.
JOY DIVISION, UNKNOWN PLEASURES
Realizzata dal grafico della Factory Records, Peter Saville, l’immagine riproposta sulla copertina potrebbe sembrare, erroneamente, un elettrocardiogramma, la trasposizione in onda di qualche canzone del disco, ma in realtà si tratta di qualcosa che arriva da molto più lontano. Più precisamente dall’universo, la cosa più ‘unknown’, che ci sia. L’immagine sulla copertina di Unknown Pleasures rappresenta infatti una serie di onde elettromagnetiche generate dalla pulsar CP1919. Una raffigurazione ipnotica che ben si sposa con il titolo del disco e con il suo contenuto.
QUEEN, NEWS OF THE WORLD
La copertina originale dell’album dei ‘News of the World‘ non è altro che un adattamento di un dipinto dell’artista americano di fantascienza Frank Kelly Freas. Roger Taylor vide un numero della rivista ‘Astounding Science Fiction’ la cui copertina rappresentava un robot gigante che reggeva il corpo senza vita di un uomo. La didascalia recitava: “Per favore… lo puoi aggiustare, papà?” per illustrare la storia “The Gulf Between” di Tom Godwin. Per la copertina Kelly Freas non fece altro che sostituire il singolo corpo senza vita con i quattro membri della band. Al suo interno l’artista dedica un’ulteriore illustrazione: qui il robot allunga la mano per afferrare il pubblico in fuga da un auditorium in frantumi.
THE VELVET UNDERGROUND & NICO
Nata dalla collaborazione tra Andy Warhol e i Velvet Underground. Il soggetto principale è una banana accompagnata soltanto dalla firma del genio della Pop Art. All’epoca la buccia del frutto era adesiva e, come suggeriva la scritta “Peel slowly and see”, si poteva staccare, rivelando un interno di colore rosa. Considerando i numerosi riferimenti alle droghe presenti nelle canzoni, in molti interpretarono l’artwork di Andy Warhol come un riferimento alla leggenda metropolitana secondo cui fumare le bucce di banana creasse un effetto psicotropo e di assuefazione. Ciò però non ebbe nulla a che fare con l’intento originale dell’artista, ovvero quello di creare un’allusione sessuale.