Tra Cover Art e Provocazione: le cover dello scandalo
Scritto da Valentina Codurelli il 20 Febbraio 2023
Dai Beatles a Hendrix, dai Lenono ai Guns N’ Roses, ecco alcune delle cover che furono considerate dei veri e propri scandali
La Cover Art fece spesso discutere, arrivando, in alcuni casi, ad essere considerata la miglior portavoce degli scandali che colpirono la storia della musica. Sono infatti molte le volte in cui i dischi fecero rumore infrangendo tabù come la nudità e la sessualità.
Ecco alcune delle copertine più irriverenti e provocatorie che arrivarono alla censura:
«Wish you Were Here» dei Pink Floyd
Il disco, nel 1975, suscitò una reazione negativa nell’opinione pubblica, in quanto molti la ritennero eccessivamente violenta e ne fu disegnata poi una più “accettabile” che ritrae una stretta di mano tra due mani robotiche. Nulla a però a che fare con la violenza poiché la copertina vera e propria dell’album venne invece ispirata al tema di critica sociale e di ironia nei confronti di chi, nascondendo i propri sentimenti, vive nella costante paura di rimanere “scottato”. Una metafora del «getting burned» (bruciarsi), un termine molto usato dai musicisti riguardo ai diritti d’autore. Thorgerson e Aubrey Powell connotarono il messaggio simbolico in una realtà, in quanto a stringersi la mano sono proprio due uomini d’affari, ovvero, una schietta metafora delle “sporche” leggi di profitto che governano il mondo.
«Electric Ladyland» di The Jimi Hendrix Experience
Per la cover di “Electric Ladyland”, Hendrix aveva originariamente le idee chiare. L’idea era di utilizzare una foto a colori, scattata da Linda Eastman, che ritraesse la band seduta assieme a dei bambini sopra una scultura tratta dal romanzo «Alice Nel Paese Delle Meraviglie» situata a Central Park, a New York. La Reprise Records ignorò la richiesta di Hendrix, utilizzando come copertina una foto che ritrae il chitarrista in primo piano, virato in giallo e rosso, opera di Karl Ferris. La Track Records invece utilizzò come copertina la foto che ritrae venti donne completamente nude, alcune sedute, altre sdraiate, su uno sfondo nero con i seni in evidenza e con in mano un ritratto di Jimi Hendrix. Pare che neppure a Hendrix piacque molto la copertina della Track Records. «Non mi rappresenta per nulla» disse infatti l’artista. Una richiesta d’autore decisamente ignorata probabilmente per meri scopi commerciali in quanto contribuì a dare seguito al mito secondo cui le rockstar dovessero essere viste come delle “icone da PlayBoy”.
«Beggars Banquet» dei Rolling Stones
Un disco dalla copertina tanto iconica quanto irriverente, specchio del sound grezzo e ribelle della band. La cover, opera di Barry Feinstein, ritrae la foto di un muro all’interno di un bagno pubblico in pessime condizioni e ricoperto di graffiti. La cover fu ritenuta offensiva e la band decise di pubblicare l’album con una copertina somigliante a un biglietto da visita quasi del tutto bianca ad eccezione di un bordino dorato.
«We’re Only in It for the Money» di Frank Zappa
La cover originale del disco, a opera di Cal Schenkel, era un’evidente parodia di quella di «Sgt Pepper Lonely Hearts Club Band» dei Beatles. Il titolo del disco infatti allude all’appartenenza dei Fab Four al movimento flower power per meri interessi economici. La casa discografica di Zappa per evitare qualunque problema legale decise di pubblicare il disco mettendo però la foto incriminata all’interno dell’album e in copertina una foto di Zappa e alcuni membri del suo gruppo su uno sfondo giallo, immagine simile a quella contenuta proprio nel disco dei Beatles. Nel 1986 la Rykodisc pubblicò «We’re only in it for the money» con la copertina originale.
«Blind Faith» dei Blind Faith
La cover di Blind Faith, l’album della band omonima nata dai Cream fu presto ritirata dal mercato in quanto il fatto che ritraesse una ragazzina nuda, in età preadolescenziale, per giunta con un modellino di aereo tra le mani interpretata come simbolo fallico, non fu affatto digerita. Anche qui però l’intento fu di tutt’altra natura. Infatti, la copertina voleva essere un elogio al risultato scientifico di quell’epoca: lo sbarco sulla luna del luglio 1969
Non riuscivo a focalizzare l’immagine, fino a quando dalla nebbia non è emerso un concetto. Per simboleggiare il raggiungimento della creatività umana e la sua espressione attraverso la tecnologia, un’astronave era l’oggetto materiale. Per portare questa nuova spora nell’universo, l’innocenza è la portatrice ideale, una giovane ragazza, una ragazza come la Giulietta di Shakespeare. L’astronave è il frutto dell’albero della conoscenza e la ragazza, il frutto dell’albero della vita.
Il fotografo Seidemann
«Yesterday and Today» dei Beatles
The Butcher Cover, una copertina decisamente insolita e “disturbante” che ritrae i componenti della band vestiti con camici da macellaio in posa tra pezzi di carne e bambole decapitate. Una cover ritenuta poco appropriata per l’immagine pulita che la band aveva in quegli anni. Secondo alcuni si trattava di una forma di protesta per la guerra in Vietnam, mentre per altri era solo una spruzzata dell’arcinoto humour nero dei fab four. La Capital ritirò il disco dai negozi e lo rimise sul mercato con una nuova copertina incollata su The Butcher Cover.
«Diamond Dogs» di David Bowie
Una cover che fu considerata tra le più scandalose nella storia della cover art. La copertina di «Diamonds dogs» di David Bowie, realizzata dal pittore belga da Guy Peellaert e risalente al 1974, mostrava un inquietante Bowie mezzo-cane che, nella versione completa, mostrava chiaramente i genitali ibridi della creatura. Il dipinto fu corretto ad aerografo per la copertina dell’album.
«Appetite for Destruction» dei Guns and Roses
Tra i molti scandali nei quali i Guns and Roses si resero protagonisti, il più eclatante è la cover Appetite For Destruction. Un’illustrazione di Robert Williams in cui sono visibili un robot ed una donna accasciata a terra. Forse, una sorta di apologia alla violenza sessuale. La cover infatti, per ovvi motivi, fu in breve tempo sostituita; una croce fatta da teschi in stile “metal” fu il nuovo volto dei Guns and Roses
«Unfinished Music 1: Two Virgins» di John Lennon e Yoko Ono
Nel 1968 fece scalpore la cover dell’album Unfinished Music 1: Two Virgins, dove John Lennon e Yoko Ono appaiono nudi fronte-retro su entrambi i lati della copertina.
Una cover che, tralasciando le innumerevoli critiche, volle porsi sul mercato per rompere il tabù riguardante la nudità. Un’immagine che nel 1968 avrebbe portato al sequestro del disco se Lennon e sua moglie non avessero accettato una sovracopertina marrone, opaca, che lascia visibili solo volti e titolo.
«Death Certificate» di Ice Cube
Quella dello Zio Sam è ormai un’icona dissacrata da Ice Cube sulla cover del disco Death Certificate. La cover, su cui vi è proposto l’iconico Zio Sam su di un tavolo da obitorio, vuole essere una metafora della morte del sogno americano. Una raffigurazione che ovviamente non piacque alll’America post-reaganiana del 1991, che arrivò a varie forme di boicottaggio in diversi Stati americani.
Come spesso accade per le opere d’arte, anche le cover dei dischi più iconici furono oggetto di scandali. Scandali dettati spesso dall’uso provocatorio, irriverente e, in alcuni casi, persino “disturbante” della cover art che in realtà si propone solo come mezzo di critica sociale e politica, portando in copertina il concept del disco stesso. Forse, per il ruolo che l’arte e la musica hanno da sempre ricoperto nella società, nulla di più trasparente della cover art potrebbe essere mai esistito.