Artivismo: quando l’arte diventa protesta politica e sociale

Scritto da il 10 Marzo 2023

L’espressione artistica è da sempre un potente strumento di denuncia sociale in grado di utilizzare il linguaggio dell’arte come forma di attivismo e protesta per prendere posizione attorno a questioni sociali rilevanti

Da sempre, l’espressione artistica è un potente strumento di denuncia sociale contro violenze, ingiustizie e discriminazioni, di tutela delle proprie opinioni e di stimolo alla riflessione. Basti pensare ad artisti di fama mondiale come  Bob Dylan, Nina Simone, Aretha Franklin o Sam Cooke, in grado di utilizzare il linguaggio dell’arte come forma di attivismo e protesta per prendere posizione attorno a questioni sociali rilevanti. Riportiamo qui alcune delle più iconiche canzoni di denuncia politico-sociale:

“AlI You Fascists” Woody Guthrie (1944)

All You Fascists è una canzone di protesta scritta durante la Seconda guerra mondiale, ma questa canzone vuole immaginare il meglio e descriverlo come un futuro per cui vale la pena lottare. “This machine kills fascists” recitava la famosa frase scritta sulla chitarra acustica di Woody Guthrie. Il ragazzo dell’Oklahoma, sopravvissuto al Dust Bowl e alla Grande Depressione degli anni ’30, racconta gli ultimi, e non per sentito dire, ma perché racconta anche la sua storia, denunciando i soprusi della macchina fascista.

“We Shall Overcome” Pete Seeger (1948)

Pete Seeger, il pioniere della musica folk, è stato il primo ad adattare il gospel We Shall Overcome nella sua versione del 1948. Da quel momento, la canzone è diventata onnipresente durante gli anni del movimento per i diritti civili degli afroamericani: eseguita da Joan Baez alla Marcia su Washington e citata dal Presidente Lyndon Johnson in occasione dell’introduzione del Voting Rights Act del 1965, la sua eco ha continuato a espandersi nel mondo come inno universale alla libertà e alla solidarietà.

“The Lonesome Death of Hattie Carroll” Bob Dylan (1964)

Hattie Carroll stava lavorando come cameriera a una cena di gala a Baltimora quando William Devereux Zantzinger, facoltoso uomo bianco proprietario di una piantagione di tabacco, l’ammazzò a bastonate. L’assassinio del 1963 spinse Bob Dylan a scrivere questo pezzo pieno di rabbia e dolore, al contempo elegia per la donna che “portava i piatti e metteva fuori la spazzatura, e che mai una volta si era seduta a capotavola e accusa contro il suo uccisore ammanicato e il sistema legale che lo lasciò libero dopo aver scontato una pena di soli sei mesi. 

“Mississippi Goddam” Nina Simone (1964)

L’attacco alla Chiesa Battista di Birmingham, in Alabama, in cui rimasero uccisi quattro bambini afroamericani, e l’assassinio a mano armata di Medgar Evers, segretario del NAACP (Associazione Nazionale per la Promozione delle Persone di Colore) in Mississippi, indusse Nina Simone ad addentrarsi  nei temi di lotta sociale. Mississippi Goddam incarnò lo stato d’animo di una nazione sotto shock.

“A Change Is Gonna Come” Sam Cooke (1964)

Cinque mesi prima che il Congresso approvasse il Civil Rights Act nel 1964, Sam Cooke riassunse in questa canzone le difficoltà e le nuove speranze di quel periodo, prendendo ispirazione da “Blowing in the Wind” di Dylan. La canzone è stata citata nel discorso di insediamento di Barack Obama in occasione della sua elezione a presidente nel 2008.

“Respect” Aretha Franklin (1967)

Aretha Franklin lo definì un «grido di battaglia». Tutti hanno bisogno di rispetto, diceva. Invertendo i ruoli di genere della versione originale di Otis Redding del 1965, Aretha riesce a ribaltare il senso di questa canzone, scritta in origine dal punto di vista di un uomo che pretende rispetto dalla sua partner con arroganza, e la trasforma in un inno per le donne soggiogate di tutto il mondo. Questa canzone segnò l’inizio della sua carriera, inserendosi con tempismo perfetto all’intersezione tra black power e movimenti femministi. 

“Fortunate Son” Creedence Clearwater Revival (1969)

La guerra in Vietnam era al suo apice quando il frontman dei CCR John Fogerty scrisse questo rock furioso su quanto fosse ipocrita arruolare ragazzi della classe operaia per combattere una guerra voluta dai ricchi. «Per me quei soldati erano come fratelli», ha detto Fogerty, che era stato parte delle forze di riserva dell’esercito statunitense. 

“Born to Die” MDC (1982)

Con Born To Die il gruppo texano MDC richiama l’attenzione sulla violenza dei naziskin ai concerti hardcore. “No war, no KKK, no fascist USA”, dice il testo. Decenni più tardi, lo slogan è stato utilizzato nei cortei anti Trump con “No Trump” al posto di “no war”. 

“Feels Blind” Bikini Kill (1991)

 Feels Blind è un esorcismo rock’n’roll delle Bikini Kill su cosa significa crescere da donne in un mondo misogino. Kathleen Hanna grida: “In quanto donna mi hanno sempre lasciato con la fame”. 

“Don’t Shoot” Shea Diamond (2019)

“Se camminavo in modo femminile mi urlavano dietro”, racconta la cantante soul Shea Diamond ricordando com’è stato crescere in Michigan. In Don’t Shoot, l’artista esplora l’alienazione e il terrore fisico che le donne nere trans troppo sono costrette a sopportare. Diamond canta della propria storia, inclusi gli anni passati in prigione per aver cercato di rapinare un negozio di liquori e avere i soldi necessari per finire l’intervento chirurgico di rassegnazione chirurgica del sesso.

“Black Lives Matter” Teejayx6 (2020)

Esempio perfetto della rapidità con cui la musica di protesta recepisce l’attualità nel 2020, Black Lives Matter del rapper di Detroit Teejayx6 è uscita pochi giorni dopo la morte di George Floyd accompagnata dall’hashtag #RIPGEORGEFLOYD e abbinata a un video che mostrava i momenti finali di Floyd e altri casi di brutalità della polizia contro gli afroamericani. “Un altro uomo nero è appena morto di fronte alla camera”, rappa. Poi aggiunge cupamente: “Non possiamo nemmeno usare i nostri martelli / Tutto ciò che possiamo dire è che le vite nere contano”


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