Il jukebox: il divertimento al prezzo di un nichelino
Scritto da Valentina Codurelli il 28 Giugno 2023
La storia del jukebox, una vera e propria macchina del tempo
Furono i primi anni 80 il teatro del successo del jukebox: ogni bar che si rispettasse ne possedeva uno, così che i clienti potessero, in poche semplici mosse, scegliere una canzone inserendo una monetina. Proprio il fatto, poi, che le monete di allora fossero coniate in nickel, valse al jukebox il nome alternativo di “nickel-in-the-slot-player”, letteralmente “lettore musicale con monetina in fessura”; un nickel (la monetina) che all’epoca aveva un potere di acquisto di 1.20 $ odierni, circa 1.00 €. Tale appellativo fu ideato dall’imprenditore Lois Glass che ne aveva installato al Palais Royal un primo prototipo. Il successivo “jukebox”, pare sia invece derivato dallo slang “juke house” che si riferiva alle case di tolleranza e a tutti quei luoghi in cui la musica non era sconosciuta.
La nostra storia, però, inizia molto tempo prima: i primi prototipi di jukebox risalgono addirittura agli ultimi anni del XIX secolo ma fu a partire dagli anni 30 del secolo successivo che alcune case produttrici iniziarono a perfezionare i propri modelli e a farsi concorrenza. Nello specifico, si tratta di alcune case americane come Wurlitzer, Seeburg, Rock-Ola e Ami.
E’ il 23 novembre 1889 quando, presso il Palais Royal Saloon di San Francisco, entra in funzione il primo jukebox della storia. L’apparecchio installato in California dalla Pacific Phonograph Co., aveva ancora poche somiglianze con quello destinato a diventare il simbolo del consumismo e dell’America degli anni ’50: all’interno di un armadio di quercia era inserito un fonografo di Edison (classe M) e quattro tubi simili a stetoscopi che fuoriuscivano dalla scatola di legno.
I primi jukebox erano fondamentalmente delle scatole in legno al cui interno si trovavano i dischi che, tramite un complesso sistema di leve e bracci meccanici, venivano prelevati e posti sul piatto del giradischi per essere ascoltati. Il cuore dell’apparecchio era costituito proprio da questo sistema di cambio che, negli anni, venne perfezionato sempre più dalle case produttrici, ognuna delle quali si specializzò su un sistema personale. Quando al funzionamento tecnico si aggiunsero colore, suoni e stile, il mito del juke-box prese forma, dando vita ad un sistema musicale che divenne protagonista di un’epoca, collante inconsapevole di momenti culturali e sociali oltre che un’imponente macchina economica e commerciale.
Negli stessi anni, videro un grosso sviluppo anche gli apparecchi radiofonici e quelli televisivi. Nonostante ciò, il settore produttivo legato ai jukebox non conobbe rivali poiché era in grado di portare l’intrattenimento fuori dalle case e in luoghi di aggregazione come i bar.
Agli anni della seconda guerra mondiale, tutti i maggiori costruttori di jukebox dovettero convertirsi in produttori di materiale bellico. Fu un periodo buio per tutti, di tristezza e distruzione. Ma, appena finita la guerra, la musica ricominciò a suonare, più forte di prima e, con lei, riprese anche la produzione e la vendita dei jukebox. Il jukebox diventò così uno dei simboli degli anni del boom economico, della voglia di rinascita e di riscatto dell’epoca.
Gli anni 70 e 80, conobbero il periodo di maggiore diffusione dell’apparecchio diventando il cuore pulsante della socialità dell’epoca, il punto attorno al quale si creava maggiore aggregazione. Questo riproduttore musicale fu portato al successo anche grazie a telefilm come Happy Days dove il mitico Arthur Fonzarelli lo faceva partire con un pugno.
Il processo tecnologico che aveva portato in auge il jukebox, fu anche quello che ne decretò il declino verso la fine degli anni ‘80. Gli ultimi esemplari di jukebox resistettero fino ai primi anni del 2000 e vennero, poi, definitivamente abbandonati per metodi di intrattenimento più moderni, quali il lettore portatile di dischi e l’MP3 che resero la fruizione musicale molto più agevole.
Nonostante ciò nulla può essere paragonato alla storia del juke-box, alle atmosfere che ha regalato ad intere generazioni che oggi si ritrovano a fare i conti con la nostalgia di quegli anni e la volontà di rispolverare i ricordi vissuti all’ascolto della cara e vecchia “scatola magica”. Un ricordo indelebile rispolverato dalle parole di Edoardo Bennato (leggi anche: “Edoardo Bennato: il simbolo del rock italiano“) in “Sono solo canzonette”: “Mi ricordo che anni fa / Di sfuggita dentro un bar / Ho sentito un juke-box che suonava”. Insomma, una vera e propria macchina del tempo.