È il 13 novembre 1970: esce Barrett l’ultimo album di Syd

Scritto da il 13 Novembre 2023

Il Syd Barrett del secondo album mette in mostra senza censure la sua fragilità

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“Barrett” ebbe inizio quando Syd si circondò di tre artisti: Richard Wright, Jerry Shirley e David Gilmour. Chiusi negli storici Abbey Road Studios, i quattro lavorarono per sei mesi all’album, un tempo ridotto rispetto a quello che Syd aveva impiegato per la realizzazione di “The Madcap Laughs”, che aveva richiesto un anno.

Le sessioni di lavoro iniziarono il 26 febbraio 1970, due giorni dopo l’esibizione di Barrett al radio show Top Gear con Terrapin, Gigolo Aunt, Baby Lemonade, Effervescing Elephant e Two of a Kind. Tranne Terrapin (già pubblicata) e Two of a Kind, le altre canzoni sarebbero state registrate per Barrett. Vennero poi registrate anche Wolfpack, Waving My Arms in the Air, Living Alone, Bob Dylan Blues: le ultime due non vennero inserite nell’album per dei disguidi dovuti alla velocità con cui i quattro lavoravano all’album: le tracce vennero “perse”, forse proprio da David Gilmour, che lo ipotizzò tempo dopo. A tal proposito disse: «Quelle sessioni furono fatte troppo velocemente. Eravamo in giro a fare concerti ogni giorno e dovevo ritagliare un momento libero per ficcarci dentro una seduta in studio. Probabilmente portai a casa i nastri per ascoltarli e mi dimenticai semplicemente di riportarli in studio. Non erano missaggi definitivi. Syd li aveva scartati, così me li portai a casa io»

Quando finalmente Barrett fu pubblicato, aveva in copertina un lavoro di Syd, che si era cimentato nel disegno durante i suoi anni a Cambridge. L’album non riuscì a entrare in classifica, e lo stesso Syd ne parlò come una sorta di eco di Madcap, opinione condivisa da diversi critici musicali come Richie Unterberger. 

Sono molti gli artisti che, nei loro dischi, hanno fotografato più o meno consapevolmente uno stato di progressivo disfacimento, una disintegrazione mentale in corso d’opera. Nessuno, probabilmente, lo ha fatto con il candore disarmante e l’eloquenza drammatica di Syd Barrett nel suo secondo LP “Barrett”. L’ascolto di quell’album provoca ancora un senso di disagio, un’inquietudine di fondo cui è difficile abituarsi. Più ancora di quanto facesse il disco precedente uscito all’inizio dello stesso anno (il 1970), The Madcap Laughs: caotico, disordinato, ma a suo modo vitale.

È quasi commovente lo sforzo di David Gilmour – qui produttore, chitarrista e anche bassista – e dei suoi collaboratori (Rick Wright alle tastiere, il batterista degli Humble Pie Jerry Shirley, l’altro percussionista Willie Wilson), che si sforzano di cucire un vestito musicale presentabile intorno a quegli scarabocchi sempre più schizofrenici e scomposti, parto di una mente sconvolta che segue rotte imperscrutabili mandando all’aria le nozioni più elementari e condivise di ritmo, melodia e armonia, strofa e ritornello. 

Irriconoscibile rispetto alla vitalità che aveva coi Pink Floyd e all’esordio. Troppa nevrosi e paranoia. Troppo brutale e sincero. Difficile abituarsi a tanta inquietudine. C’è voluto coraggio, da parte di Gilmour, per  portare a termine la missione, aiutando Barrett a realizzare un disco ostico, scomodo e portatore di non poca sofferenza. 

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